giovedì 13 marzo 2008

L'antica pietra di Siracusa


Parte I - Cave, latomie e muri a secco

Una cosa fuor di dubbio colpisce quanti visitano le vestigia dell'antica Siracusa greca. Si tratta dell'enorme quantità di pietra utilizzata per costruire la città. Siracusa, come del resto gran parte della Sicilia Sudorientale, è ricca di grandi falde di bianchissima pietra calcarea. Tale materiale venne ampiamente utilizzato per le costruzioni civili, religiose e militari. A tal proposito basti pensare ai 27 Km di cortina muraria che circondavano la città, oggi noti come "Mura Dionigiane". L'estrazione della pietra avveniva in antico con varie tecniche. A Siracusa e negli immediati dintorni ritroviamo l'applicazione delle varie tecniche di raccolta della materia prima da costruzione e di messa in opera della stessa. Il metodo più semplice era fuor di dubbio la raccolta a "cielo aperto" ovvero raccogliendo direttamente in superficie le pietre di piccole dimensioni e utilizzandole per creare dei muretti a secco. Tale tecnica si ritrova a Siracusa ma anche negli altri insediamenti Greci vicini e, ancora oggi, i muretti a secco sono una caratteristica del paesaggio agrario siciliano.



FIGURE: Opera muraria a secco nel Castello Eurialo di Siracusa - Muretti a secco nelle case dei primi coloni di Megara Iblea - Moderno muretto a secco nelle campagne ragusane

Questa tecnica a secco con muretti composti da pietrame piccolo e irregolare poteva andar bene per piccole costruzioni come le case unicellulari dei primi coloni di Megara Iblea. Per costruzioni difensive o per gli edifici pubblici e religiosi occorreva però pietra di migliore qualità: blocchi squadrati, spesso "megalitici" ovvero di grandi dimensioni. Gli architetti greci non utilizzavano malte come leganti, per cui i muri tenevano per puro effetto della forza di gravità ed era importante una buona lavorazione per garantire un buon risultato. I 27 chilometri di mura che circondavano Siracusa, voluti dal tiranno Dionigi per difendere la città dalla minaccia


Estrazione di pietra a terrazza nei pressi del Castello Eurialo di Siracusa

cartaginese, sono costruiti in blocchi megalitici. Per garantire il materiale da costruzione ma anche la rapidità dei lavori vennero aperte numerosissime piccole cave di pietra, latomie, vicino ai cantieri di costruzione. Ciò che rimane delle mura dionigiane è oggi vincolato e aggirando la città di Siracusa, oltre ai resti delle mura si incontrano i resti di queste piccole latomie a terrazza, che estraevano la pietra per filari successivi partendo dall'alto e dopo aver eliminato il primo strato di pietra di pessima qualità. Nelle varie immagini che fanno da contorno a questo testo si possono vedere scorci di queste latomie. Se ne trovano ad esempio nelle immediate adiacenze del Castello Eurialo, la grande fortificazione voluta dal tiranno Dionigi per difendere l'ingresso all'altipiano dell'Epipoli. Al fianco del castello, al di sotto di esso, scorreva una delle vie di accesso alla città. Oltre alle torri del castello stesso, il solido impianto di una "porta a tenaglia" garantiva ulteriormente la sicurezza del luogo. Il materiale litico per questo primo tratto delle mura dionigiane venne reperito direttamente in loco. Dalla porta escono delle carraie e, poche decine di metri al di fuori del perimetro difensivo troviamo i resti di una piccola cava. I blocchi veniva estratti direttamente "a terrazze". Si riconoscono ancora bene i segni di taglio dei filari di blocchi e quelli sbozzati ma non liberati dal banco roccioso. Una latomia di una certa dimensione è localizzata anche nel pianoro dell'Epipoli e ancora troviamo due piccole cave a cielo aperto al di fuori delle mura cittadine in zona Scala Greca. Una prima nella vallata al di sotto del pianoro cittadino, oggi semiinterrata ed un'altra lungo i fianchi stessi della collina, unendo la vicinanza alle fortificazioni e pertanto al cantiere di lavoro, al secondo scopo di rendere ancora più accidentato il percorso. Le mura dionigiane percorrevano poi un lungo arco ma non si interrompevano sul lato delle ripide scogliere na aggiravano per intero la città. Così anche nelle zone non costruite del quartiere Santa Panagia ci si può imbattere nel piano di una cava ove si riconoscono ancora benissimo le incisioni per il taglio dei filari dei blocchi.


Gradini di una cava presso Scala Greca - Tracce di taglio di blocchi presso Santa Panagia


Oltre a queste piccole cave temporanee, di supporto per i vari cantieri, Siracusa però aveva delle grandi cave da cui nel corso dei secoli venne estratto ingentissimo materiale da costruzione. Si trattta di veri e propri fossati con pareti dritte e liscie, profondi alcune decine di metri e larghi altrettanto. Sono le famose latomie di Siracusa di cui ci raccontano anche storici del calibro di Tucidide. La più famosa di queste è la latomia del paradiso, localizzata nell'odierna area archeologica della Neapolis. Tucidide ci racconta delle sofferenze che ivi pativano i prigionieri dopo la disfatta ateniese nella guerra del Peloponneso. La cava diventava per loro al contempo prigione e luogo di lavoro forzato. Data l'imponenza di questi fossati, non è escluso che giocassero un ruolo difensivo prima della costruzione delle mura dionigiane. Nelle latomie oltre all'estrazione a cielo aperto, avveniva anche l'estrazione in tunnel. La latomia del paradiso è costellata da vari di questi tunnel. Il più celebre è l'orecchio di Dionisio, all'interno del quale si notano ancora i segni rettilinei lasciati dai blocchi di pietra rimossi. Stessa cosa vale per la


In alto: Dettaglio della parete della latomia del paradiso. Si notano chiaramente i segni lasciati dalle varie tecniche di estrazione dei blocchi - Ingresso della grotta dei cordari, evidentemente di origine artificiale

In basso: Veduta dell'Orecchio di Dionisio dall'interno. Lungo la parete sinistra si riconoscono con facilità i segni lasciati dai blocchi di pietra estratti
vicina grotta dei cordari che, sebbene non accessibile, mostra una forma tipicamente "squadrata". Se prima abbiamo parlato di "muri a secco", anche la pietra estratta da queste cave venne usata per opere a secco, tipiche dell'architettura greca. In questo caso però si trattava di blocchi di forma parallelepipeda, molto spesso di grandi dimensioni, ovvero megalitici. Le mura dionigiane erano costituite esclusivamente da questi blocchi calcarei, erano piene, non costituite pertando da paramenti esterni e da un conglomerato interno come si vede in altre parti.
(fine prima parte)
articolo di S. Leggio

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